L’importanza del suono nella meditazione

L'importanza del suono nella meditazione

 

C’è una cosa che dobbiamo prendere in considerazione ed è l’importanza del suono nella meditazione.

 

Fu il suono a dar origine a tutto. Fu il suono, con la sua vibrazione, a permettere la materializzazione del mondo. La sillaba “OM” è creatrice dell’universo, considerata la “saetta vibrante o chiodo, che penetra e rinsalda l’intero mondo.”

 

Nello yoga, nella medtazione, nella mindfulness, si sente parlare spesso di vibrazioni, di suono, e non a caso molti insegnanti usano anche le campane tibetane durante le pratiche, per non parlare dell’esistenza dello yoga del suono, il Nada Yoga.

 

Ma cosa risveglia in noi un determinato suono? Cos’è che vibra e ci riconnette con l’universo? Ma soprattutto, cos’è esattamente il suono?

 

Nel mio percorso d’insegnante di yoga e critica musicale, per uno strano caso, – oppure per destino – sono incappata in un libro illuminante sotto tutti i punti di vista: Il significato della musica di Marius Schneider, etnomusicologo del ‘900.

 

Non avrei mai pensato di ritrovare in questa raccolta di saggi così tante citazioni tratte dalle Upaniṣad e dai Veda.

 

Già l’uomo primitivo aveva a suo modo capito l’importanza del suono, il sacrificio più alto, il dono più grande da fare agli dei. Il suono: ciò che è in grado di mettere in contatto il cielo e la terra come nessun’altra cosa al mondo.

 

Dio era il tuono e la luce del lampo, la materializzazione di quel suono.

 

L’IMPORTANZA DEL SUONO NELLA MEDITAZIONE

 

Gli orientali hanno addirittura cominciato a considerare il suono come vero e proprio creatore universale.

 

La sillaba “OM”, si dice, scaturì dall’uovo cosmico, l’uovo risonante di Brahman. Nelle tre sillabe “A, U, M”, l’intero mondo è “intessuto e stessuto” (dalla Maitrayana Upaniṣad).

 

Le popolazioni primitive consideravano il corpo umano come una cassa di risonanza, ed erano i canti e le lodi a dar vita alle cose.

 

Addirittura si crede che il suono “AUMm” sia stato “il sentiero più nobile per varcare il mondo materiale”, ma il percorso inverso, quello che condurrebbe poi alla creazione, porterebbe a leggere al contrario “AUMm”, che diventerebbe quindi “mMUA”, che riproduce il muggito della mucca, e nella letteratura vedica, “vacca” vuol dire “canto, rituale, fecondità, ricchezza.”

 

Nella Nrisinhapurvatapaniya Upaniṣad si dice che chi canta l’AUMm diventa il creatore stesso, membro del canto Prajāpati.

 

Il Ṛgveda narra che i canti dei poeti mitici formarono la testa di Prajāpati, che dovette poi pronunciare “le sillabe creatrici del mondo.” Un’altra storia narra che Prajāpati nacque dal suono di diciassette tamburi.

 

Il dio Śiva è il danzatore che suona il tamburo, e che grazie a esso permette al mondo di continuare a esistere.

 

LE COSE SI COMPLICANO

 

Prima arrivò il suono, (svara), e poi la luce (svar), e infine la parola, (vāc). E il suono arrivò dal nulla. Si crede che furono le vibrazioni dei canti a portare l’aurora.

 

Le immagini della mente sono suoni fattisi concreti: è acustico e buio l’inconscio, è un suono luminoso la coscienza, e anche per Abhinavagupta, nel suo “Essenza dei Tantra” -con commento di Raniero Gnoli- si parla di “luce del giorno che consiste in uno stato di conoscibilità nella luce, e la notte corrisponde, invece, al dissolversi del conoscibile”.

 

Dal commento di Gnoli: “La luce corrisponde alla creatività incessante della coscienza, il suo uscire fuori di sé; la notte (il pensiero) consiste nel riposo della luce.”

 

La musica sta fra l’oscurità e la vita inconscia, nel sogno, e il suono si fece luce poco a poco, per poi divenire linguaggio e musica vera e propria.

 

Il mondo primordiale bisogna immaginarlo come un mondo acustico, di notte e di sonno profondo, circondato dal mondo del suono luminoso del tempo intermedio che corrisponde al sogno, all’alba, all’aurora; e il mondo presente è mondo materiale, che rappresenta lo stato di veglia, il giorno.

 

Il mondo primordiale è il cerchio che sta nel mezzo, l’uovo cosmico da cui tutto ha avuto origine, e tutto il resto si espande intorno.

 

E al centro il nulla assoluto, non un essere creatore, un po’ come la vede il grandissimo astrofisico Stephen Hawking, che dopo aver scritto “Il grande disegno”, è stato tacciato di essere diventato buddhista, -come fosse una brutta cosa- più che uno che negava semplicemente l’esistenza di Dio.

 

Ma tornando alle vibrazioni, non posso non citare il papà della fisica quantistica, Max Plank, che nel ’44 scrisse:

 

“Avendo consacrato tutta la mia vita alla Scienza più razionale possibile, lo studio della materia, posso dirvi almeno questo a proposito delle mie ricerche sull’atomo: la materia come tale non esiste! Tutta la materia non esiste che in virtù di una forza che fa vibrare le particelle e mantiene questo minuscolo sistema solare dell’atomo. Possiamo supporre al di sotto di questa forza l’esistenza di uno Spirito Intelligente e cosciente. Questo Spirito è la ragione di ogni materia.”

 

Leon M. Lederman, premio Nobel per la fisica, in uno dei suoi fantastici libri, Fisica quantastica per poeti, spiega proprio, con il suo taglio ironico e semplice, che:

 

“Le proprietà chimiche di un elemento dato sono regolate dagli elettroni esterni dei suoi atomi. Questi sono liberi di saltellare su e giù e da un atomo all’altro, e così facendo creano i legami che portano alla formazione di molecole.”

 

IL SILENZIO, LA VOCE, IL RESPIRO

 

Per la filosofia indiana” – come scrive Schneider- “la verità suprema non è il suono ma il nulla silenzioso e la mancanza assoluta di pensiero e di forma.

 

Non dimentichiamo, quindi, l’importanza del silenzio, e l’incapacità di molti a stare in silenzio, ritirati in se stessi. Vi sarà capitato più volte, come allievi, di trovarvi a disagio a occhi chiusi guardando solo dentro voi stessi. Poi con la pratica la meditazione diventa sempre più profonda e fa meno paura. Il silenzio è tensione e non ha meno importanza del suono.

 

Allo stesso modo pensiamo quanto siamo poco a nostro agio con la voce. Non è facile per una persona lasciarsi andare con una risata, un grido, un verso. Non sappiamo più quale sia il nostro ritmo, il nostro suono, mentre per gli antichi era fondamentale saperlo -ritmo che variava secondo gli stadi della vita che si attraversavano.

 

“Il suono individuale” è solo nostro, e si dice ci accompagni anche dopo la morte. Se ci pensiamo, nel Nada Yoga e nella musicoterapia, è importante riconoscere e imparare quale sia la nostra “nota individuale”, la “nota tonica,” per capire chi siamo, com’è la nostra voce e come usarla, come fosse un potere di cui fare tesoro per essere poi di aiuto anche per gli altri.

 

È la voce a renderci unici, davvero distinguibili.

 

Ricordiamoci dell’importanza della voce nel tramandare le sacre scritture, ma soprattutto del contatto tra maestro e allievo che è sempre avvenuto attraverso la parola. La “sruti”, nella filosofia indiana, cioè “ciò che è udito”, era la “fonte di ogni conoscenza.”

 

E anche il respiro è considerato prima sostanza del mondo, ed è vita perché è suono. In India il respiro primordiale è l’atman, il respiro del brahman che diventa percepibile quando diventa vibrazione acustica.

 

È il respiro che fa salire l’energia, che passando dal diaframma, al naso, alla bocca, fino alle corde vocali e al cranio, tutto fa vibrare. Il suono dell’OM pronunciato con la giusta respirazione, produce delle grandi e potenti vibrazioni.

LE CAMPANE TIBETANE

 

Lo yoga e il suono sono molto legati. Pensiamo alla potenza dei Mantra, al fatto stesso che esista, appunto, il Nada Yoga; pensiamo all’invocazione dell’OM e ai canti, che sono dei veri e propri rituali; e le tradizioni e le culture spesso s’incontrano e si fondono, come nel caso delle campane tibetane, che alcuni credono siano comparse intorno al 2000 a.C., in Tibet, Mongolia, Cina, Nepal e India del nord.

 

Si dice che il loro suono riproduca quello dell’OM e che siano in grado di riconnettere l’uomo con l’universo. Ed ecco che durante la meditazione, al termine di una lezione di yoga, spesso capita di trovare insegnanti che hanno fatto tesoro di questi oggetti quasi magici, e li usino per accompagnare i propri allievi in stati di profondo ritiro interiore.

 

La concentrazione sul suono è già una meditazione di per sé, e quello che nasce dalle campane tibetane è qualcosa di unico e misterioso, inspiegabile per chi non l’ha mai sentito.

 

Per non parlare del beneficio che si prova nell’avvicinare o appoggiare le campane sul corpo. Le vibrazioni sono in grado di sciogliere le tensioni quasi in maniera istantanea, e la sensazione di benessere si protrae nel tempo.

 

C’è chi parla di “concordanza di fase”, tirando in ballo la fisica quantistica: le vibrazioni della campana entrerebbero in sintonia con quelle del corpo, come quando due onde, nella fisica, arrivano ad avere uguale ampiezza e frequenza.

 

E c’è chi parla di onde alfa, teta, delta, e crede che le campane siano in grado di stimolare le onde del cervello che inducono alla calma (alfa)… ma preferiamo non tirare in ballo la fisica in questo caso.

 

Forse è solo merito della magia del suono, della sua potenza. I suoni dei tamburi, dei canti, delle campane, dei flauti, sono insiti in noi fin dai primordi, capaci di risvegliare negli individui qualcosa di profondo, che ci ricorda quello che eravamo e da dove veniamo.

 

IL SIGNIFICATO DELLA MUSICA

 

Siamo connessi con tutto, con il nostro pianeta, l’universo, e ogni cosa forse è davvero collegata, come ognuno di noi è legato all’essere vivente che ci sta accanto, che sia una pianta, una persona, o addirittura un oggetto.

 

Perché anche gli oggetti sono figli del suono, materializzazioni di vibrazioni, e, spesso, anche loro sono considerati possessori di un’anima. Nell’antichità, per esempio, si credeva che l’animale sacrificato per costruire il tamburo, cantasse e parlasse attraverso di esso.

 

Riguardo alle campane tibetane, si dice che siano loro a scegliere noi con il loro suono, e non il contrario.

 

Dalla “Bṛhadāraṇyaka Upaniṣad”, riguardo all’inafferrabilità della realtà ultima:

 

“Avviene come quando un tamburo è sfiorato. Dal di fuori non è possibile afferrare i suoni. Se però si afferra il tamburo o anche la sola bacchetta, ecco che si afferra (anche) il suono.”

 

Schneider ne La musica primitiva, altro testo fondamentale, ci dice che nella “Bṛhadāraṇyaka Upaniṣad” Dio è visto come “un morto che canta” oppure come la personificazione della fame, cioè della volontà indomita di creare, dell’inquietudine di uscire dal nulla per poter “srotolare” o “dispiegare” l’universo. La sua aria, un canto di lode e di gioia, creò i quattro elementi.”

 

CONCLUSIONI

 

Vorrei chiudere non con delle mie parole, ma con una citazione di Elèmire Zolla tratta dalla postfazione de Il significato della musica.

 

“Il mondo fu creato dalla morte, che canta il canto della morte creatrice, il quale si solidifica in pietre e carni. Dalla quiete o morte originaria sorge il desiderio, la fame o brama come allo spezzarsi di un uovo la creatura: il Verbo, designato come tuono, stella canora, aurora risonante, canto luminoso. In Egitto è il sole cantante, o Thot che dà una risata settemplice; nei Veda era un inno di tre sillabe. Il suono del Verbo è il suo corpo, il senso del Verbo è la sua voce. Nella tradizione Vedica si dice che il Verbo si è diffuso nel creato, cioè: ogni tono musicale corrisponde a una figura astrale, a un momento dell’anno, a un settore della natura, a una parte dell’uomo. L’uomo deve rifarsi alle origini ogni volta che s’accosti alla morte […]. Gli tocca essere allora incantato, pietrificato, svuotato, fatto risuonare; solo colui che periodicamente subisca la pietrificazione e l’ammutolimento può crescere, cantare una nuova vita.”

 

Perché, come conclude Schneider nel suo saggio “La musica e le cose”, troppo spesso ci si dimentica “che il centro profondo dell’uomo è un centro cosmico, non individuale e personale, il cui raggiungimento presuppone la spersonalizzazione. Nulla ostacola l’attuazione di questa conditio sine qua non quanto l’individualismo con cui il mistico europeo di formazione romantica si isola volutamente dalla comunità.

 

 

 

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