Ho visto molti insegnanti di yoga e meditazione postare sulle proprie pagine social la copertina di questo libro, e l’ho fatto anch’io. Insegno yoga, mindfulness, scrivo libri, sono una giornalista, e ho amato molto alcuni libri di Emmanuel Carrère. Ero curiosa, e in più, leggendo commenti e notizie, sembrava davvero che avesse scritto un libro sullo yoga e la meditazione. E invece no. Certo, all’inizio ne parla un po’, altrimenti non avrebbe potuto intitolarlo Yoga. In realtà, nella prima parte parla molto più di tai chi. Avrebbe dovuto intitolarlo Tai chi, ma si sa, lo yoga attira molto di più, è più famoso. L’idea di Carrère, in effetti, era proprio quella di scrivere un libro sullo yoga, anzi, “un libro arguto e accattivante sullo yoga”, che si sarebbe dovuto intitolare “L’espirazione”. 

 

Perché questa scelta? Perché Carrère pratica da trent’anni, tra alti e bassi, nonostante lui stesso si definisca un “meditante della domenica”, e perché lo yoga vende e tira di brutto. Infatti questo libro sta vendendo molto bene, tutti ne parlano, Carrère può esserne contento, lui e il suo ego enorme (se lo dice da solo, da sempre, ne è consapevole) anche se soffre per non essere famoso e acclamato come Michel Houellebecq, che infatti dice spudoratamente d’invidiare (ed effettivamente Michel è diecimila volte meglio di Carrère, dai, ammettiamolo).

 

Insomma, inizio Yoga e, dopo poche pagine, riconosco in me del nervosismo. C’è qualcosa che m’infastidisce. Poi capisco: Yoga di Carrère si chiama così solo per una questione di marketing, è un libro che avrebbe dovuto parlare di yoga ma che non lo fa, e che quando sembra farlo, lo fa in modo un po’ banale e superficiale. Carrère, vantandosi, dice di meditare, fare yoga e tai chi da trent’anni, vero, ma poi deve essersi reso conto che un libro sulla meditazione era troppo pure per uno scrittore come lui, uno che in fondo si alza la mattina e fa un po’ di esercizi di stretching; uno che si siede a meditare quando si ricorda, quando gli va; uno che liquida la mindfulness con quattro parole non rendendosi neanche conto di coltivare proprio la mindfulness, e non di meditare o praticare yoga in modo “ortodosso”. Carrère non ne sa molto, e quando accenna due parole sulla mindfulness fa pure errori, scrivendo che il suo fondatore è uno psichiatra, cosa che non è, perché Jon Kabat-Zinn è un biologo.

 

Poi insulta pure un certo Ram Dass, “apostolo dell’LSD, che in età avanzata è diventato un vecchio guru della mindfulness”, definendolo uno yogi-barbuto-vegetariano-indossatore di sandali-babbeo-imbecille-pericoloso, che scrive libri brutti, stupidi e inutili, quei libri di autoaiuto che vendono tanto. Ora, io questo Ram Dass non so nemmeno chi sia, ma sono andata a controllare e ho scoperto che era uno psicologo americano che poi si è avvicinato alla meditazione, alla mindfulness, e che ha scritto libri di autoaiuto che effettivamente hanno venduto molto, e allora colgo di nuovo l’invidia di Carrère, che ribadisce di aver passato la vita a voler diventare uno scrittore originale di grandissimo successo, e non essendoci riuscito come il suo rivale Houellebecq, c’ha voluto provare con un libro “arguto e accattivante sullo yoga” ma “intelligente”, mica come quelli di questo Dass. Peccato che Carrère, da meditante della domenica, non ha raggiunto nessuna pace interiore, nessun’illuminazione, non è nemmeno psicologo, anzi, è un paziente psichiatrico. E allora diventa chiaro perché questo libro non sia un romanzo, un libro sullo yoga, un libro di autoaiuto, perché Carrère non sa aiutare nemmeno se stesso e fa meditazione per provare a stare meglio, per cercare un’oasi al riparo dai demoni della sua mente.

 

Il risultato è un’autobiografia mal riuscita. E tutto perché Carrère considera -giustamente- i suoi pensieri troppo importanti, intelligenti, fondamentali, non capendo che per l’Oriente i pensieri vanno abbandonati, sono soltanto illusione, non hanno nessun peso, nessuna importanza, allontanano dalla realtà ultima, confondono, sono ignoranza, così come il desiderio, l’attaccamento. Perché tutto ciò non dà felicità, benessere, non libera. Carrère è un meditante della domenica che come noi è occidentale, laico, e in più cerca il riconoscimento, la fama, il successo, l’accrescimento e la consacrazione del suo ego. Tutto il contrario dello yoga, della meditazione, del tai chi, di tutto il pensiero orientale. Per Carrère la meditazione è niente più che “l’ennesimo giochino narcisistico. E questo mi rattrista”.

 

Lo yoga non è qualcosa che serve per mantenersi in forma, una ginnastica, e Carrère sembra averlo capito, ma anche lui pratica comunque per tenersi in forma e soprattutto per provare a gestire la propria mente. Pratica da occidentale, in modo laico, e non per interrompere il ciclo delle reincarnazioni, e quindi pratica mindfulness, che infatti è un’attitudine che s’impara a coltivare attraverso vari tipi di pratiche orientali (tra cui lo yoga), e che è nata in contesti ospedalieri per aiutare le persone a ridurre lo stress e a gestire dolori cronici, ansia, malattie psicosomatiche e molti altri disturbi.