Se vuoi insegnare a meditare devi meditare

Se vuoi insegnare a meditare devi meditare

 

Se vuoi insegnare a meditare devi meditare dovrebbe diventare un mantra.

 

Nell’ambiente dello yoga e della meditazione c’è un problema: chi diventa insegnante o istruttore spesso non pratica. Ovviamente non è così per tutti, sia chiaro.

 

Lo dicono da tempo anche i grandi maestri di queste discipline. Gli allievi vogliono diventare presto insegnanti, e magari praticano anche da tempo, ma quando poi iniziano a insegnare, spesso smettono di praticare per loro stessi.

 

Si diventa insegnanti di yoga, si guidano varie lezioni a settimana, e si smette di praticare da soli. Addirittura non ci si siede più a meditare o non lo si è mai fatto.

 

È bello condurre, ma sappiamo anche che non è la stessa cosa praticare da soli e guidare.

 

Jon Kabat-Zinn fondatore della mindfulness, dice e scrive da sempre nei suoi libri che non ci vuole chissà quale corso di formazione per diventare istruttore mindfulness, ma l’istruttore deve praticare, deve incarnare la pratica, deve meditare tutti i giorni, sempre, per sempre, oltre a seguire un’etica.

 

E lo stesso vale per lo yoga, dove secondo le regole vigenti basta frequentare un corso di 200 o 500 ore per iniziare a insegnare, ma se poi non si pratica seriamente da soli che senso ha “insegnare”? Insegnare cosa?

 

La vita deve diventare la pratica e la pratica la vita. L’insegnante di yoga, il maestro di meditazione o l’istruttore mindfulness, deve trovare il tempo per la propria pratica quotidiana, quella formale oltre a quella informale.

SE VUOI INSEGNARE A MEDITARE DEVI MEDITARE

 

Non si può insegnare qualcosa che non si vive in prima persona sulla propria pelle, nel proprio corpo e nella mente.

 

In fondo non dimentichiamoci che si rimane allievi o discepoli per tutta la vita, nel senso che non si finisce mai d’imparare, anche se poi si deve entrare nell’ottica che i migliori maestri di noi stessi possiamo essere soltanto noi. 

 

Non basta una vita intera per conoscere il proprio corpo, la propria mente, in poche parole, se stessi, per non parlare del mondo che ci circoda.

 

Noi siamo in continua evoluzione, cambiamo continuamente, anche per questo motivo non si può mai smettere di praticare.

 

Se non pratichiamo, cosa pensiamo di poter trasmettere?

 

In realtà non arriveremo a sapere molto del mondo e di noi stessi neanche alla fine dei nostri giorni. Si rimane principianti per tutta l’esistenza, ed è questa la bellezza di pratiche di questo tipo.

 

UNA VOCAZIONE

 

A un certo punto però si arriva alla resa dei conti, perché la differenza tra gli insegnanti che praticano e quelli che non lo fanno si vede.

 

Gli allievi capiscono chi hanno di fronte; se il maestro ha fatto di queste discipline la propria vita e la propria vocazione o se invece insegna come se facesse un lavoro qualunque e non pratica.

 

Siamo in cammino, e la pratica ci deve accompagnare fino al giorno in cui esaleremo l’ultimo respiro, e sarà soprattutto in quell’ultimo istante che ci renderemo conto della sua importanza, del suo senso.

 

Insomma, facciamo diventare “se vuoi insegnare a meditare devi meditare” una specie di mantra da ripetere a noi stessi.

 

Perché insegnare vuol dire accompagnare ed è una responsabilità importante da non sottovalutare.

 

 

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