Vincere la morte. Il Covid impone la nuova sfida. Sacrificare tutto per allungare la vita. Sempre di più

 

Quando ho letto l’articolo de “Il Foglio” intitolato “Quando non si può più donare la vita, non resta che conservarla a ogni costo”, ho avuto un’illuminazione.

 

Il filoso Olivier Rey ha pubblicato il libro L’idolatria della ‘vita’ in cui critica l’immaginario che sottende la modernità nella tradizione francese che fu di Jacques Ellul. «In passato, un’epidemia come quella che noi subiamo dall’inizio del 2020 certamente avrebbe mietuto vittime, ma non avrebbe affatto colpito la vita delle società, che invece oggi è sconvolta. Perché? Perché i mezzi potentissimi di cui disponiamo per rimandare la morte rendono intollerabile l’idea di vedere morire anche solo una piccola parte della popolazione, senza fare nulla. È consuetudine dire dei sistemi ospedalieri che hanno l’obbligo non dei risultati (si sa che chiunque un giorno deve morire), ma di avere i mezzi. Detto in altri termini, i nostri mezzi ci obbligano. In fondo, ciò che ha reso imperative le misure di confinamento è stata, in primo luogo, la preoccupazione di evitare la congestione dei servizi ospedalieri: è in funzione dei servizi di rianimazione che la vita si è paralizzata. Su una tale situazione non esprimo un giudizio morale, ma sottolineo un fatto. I nostri mezzi, giganteschi in confronto a quelli di cui si è potuto disporre in passato, ci permettono di lottare efficacemente contro ogni sorta di male che lasciavano i nostri predecessori senza soccorso».

 

 

Alla fine la verità su questa pandemia potrebbe essere solo una: in passato nessuna epidemia si è gestita e si sarebbe mai gestita in questo modo ma oggi, periodo in cui la morte è diventata il tabù per antonomasia, e sapendo di avere i mezzi necessari per ritardare in ogni modo possibile la morte, si è condannato il mondo intero a una crisi economica epocale per far vedere a Dio, a noi stessi, al nulla o quel che è, quanto siamo bravi a ritardare la morte, a gestirla, e un giorno, a superarla.

 

 

L’altra sera, mentre guardavo in diretta la trasmissione Dimartedì, già mi si era accesa una lampadina. Il politologo Edward N. Luttwak durante il suo intervento ha detto proprio che in passato alcuni morivano e la società andava avanti e poi l’epidemia passava. E l’ospite Concita De Gregorio ha cercato di far passare Luttwak per uno “sterminatore nazista”, quando invece Luttwak ha detto solo una scomoda verità, e cioè come funzionava in passato. Ma l’altra ospite, la giornalista Myrta Merlino, ha affermato un’altra cosa che ci aiuta a trovare il bandolo della matassa del mio ragionamento, e cioè che se nel 2020 siamo capaci di allungare la vita delle persone – indubbiamente una grande conquista – dobbiamo continuare a farlo. È questo l’unico vero obiettivo, allungarla sempre di più, anche solo di qualche anno. Oggi morire a ottant’anni è inconcepibile, inaccettabile. Se si può evitare anche soltanto una morte si deve fare di tutto. Fa niente se l’età media di un uomo è di 82 anni e il Covid principalmente uccide chi ne ha più di 83 e con più patologie. Non ha nessuna importanza. L’unica cosa che conta è puntare all’immortalità, far vivere tutti almeno fino a 100 anni.

 

 

In questi giorni ho ascoltato le bellissime conferenze gratuite organizzate dalla Fondazione Prada: “Human Brains. Culture and consciousness”. Durante questi incontri c’erano vari ospiti, tra cui neuroscienziati, filosofi, antropologi, biologi, e si parlava tranquillamente del fatto che presto verranno inseriti dei chip nei nostri cervelli, che le macchine faranno parte di noi (Elon Musk ci sta già lavorando), che si proverà a ‘copiare’ esattamente il nostro cervello per trasferirlo su un altro corpo. Cercheremo di replicarci, di sostituire i nostri organi con impianti 3D, e cancelleremo le malattie intervenendo a livello genetico, evitando che nascano bambini con certe patologie, superando anche la questione etica. Tutto questo è già realtà, e verrà imposto se non lo si accetterà, perché l’uomo vuole sconfiggere la morte, e con il COVID-19 è iniziata questa nuova era, che piaccia o non piaccia.

 

 

Molte attività culturali, ristorative, ludiche, falliranno, portando sul lastrico milioni di persone ma sono danni collaterali, ‘non sono essenziali’, non hanno nessuna importanza, perché tutto è sacrificabile in funzione della salvezza di un solo individuo, in nome di quello che per alcuni si può considerare accanimento terapeutico. L’economia in qualche modo si risolleverà, le persone che perderanno il lavoro si dovranno reinventare, questa è la dura realtà da accettare che ho sentito dire a più di un politico. E nessuno farà nulla per evitarlo.

 

 

Io sono per la scienza, lo sono sempre stata. Sono per i vaccini, sono per il progresso che ci porterà su Marte. Sono affascinata dalla neuroscienza, insegno mindfulness, una meditazione laica che ha un approccio scientifico, mi commuovo quando leggo dell’avanzamento della medicina, quando scopro che grazie a un pacemaker nel cervello si riuscirà presto a sconfiggere anche il Parkinson e l’epilessia. Eppure in questo periodo sono passata anch’io per negazionista/complottista, solo per aver detto che questa pesante influenza uccide purtroppo soprattutto chi ha più patologie e chi è in età avanzata, tesi confermata ormai da tutti. Non ho mai negato il Covid, ho solo posto l’attenzione anche sulla gestione della pandemia a livello governativo, e ho sempre considerato il lockdown una scelta sbagliata. Tutto ciò mi ha fatto sorridere e anche soffrire, perché non riuscivo a capire come potesse essere accaduto: proprio io, che ho sempre difeso la scienza, mi sono ritrovata a essere minacciata di morte da certe infermiere (si è arrivati anche a questo.) E sono stati definiti ‘negazionisti’ migliaia di persone che hanno pure una certa cultura, che sono persone intelligenti, che sono a favore della scienza da sempre, come Vittorio Sgarbi, Massimo Cacciari e tantissimi altri.

 

 

Eppure dovevamo capirlo. È da tempo che siamo entrati nell’epoca del salutismo, dove entro il 2030 non si fumerà più all’aperto in tutta Milano e in molte altre città del mondo, dove il benessere viene prima di tutto, dove una rockstar che fuma e beve e si droga non è più un mito ma una persona da stigmatizzare, dove sempre più persone sono diventate e diventeranno vegetariane, dove ci sarà una rivolta ‘Green’ che sarà potente come lo è quella della lotta alla morte.

 

 

Ma ora tutto mi è chiaro: se si accetta, apprezza e ringrazia la scienza che oggi ci permette di arrivare tranquillamente a 80 anni, bisogna capire e accettare che in questo caso è necessario fermare un Paese, anzi, il mondo intero, per salvare anche soltanto un novantacinquenne. Fare di tutto, a qualunque costo, per entrare in una nuova Era, quella dell’uomo che non solo vuole ritardare la morte, ma la vuole sconfiggere, vuole averne il controllo assoluto. L’uomo che si sostituisce a Dio, alle leggi della Natura, definitivamente.

 

 

La vera battaglia è affermare la vittoria della scienza che non può permettersi contraccolpi, arrivare a un punto in cui si potrà dire “la scienza non ha fallito”.

 

 

È vero, siamo in guerra, ma la guerra non è contro il virus, è la guerra della scienza contro la Natura. Non avevo capito niente.

 

 

 

Articolo di Dejanira Bada tratto da Pangea.news

 

 

Related Posts